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“se eri come me, volevi conoscere tutto quello che ti eri perso”


“Quando finì la guerra ero un ragazzo di 19 anni. È difficili oggi rendersene conto, il clima oggi è talmente diverso, chi come me ha quel vissuto lo capirà, chi non l’ha avuto si metta nei panni di ragazzi che dai quattordici ai diciannove anni hanno avuto solo paura. Per cinque anni della tua adolescenza e maturazione, paura. Di bombe e di rastrellamenti. Anche se andavi a scuola e davi esami stavi attento alla sirena per correre nel rifugio, non c’era vita di frequentazione, non ci si vestiva per comunicare qualcosa agli altri, ci si copriva, anche lì per difenderci e basta. Non potevamo contare sul tempo. Ti rendi conto di cosa significa se hai vent’anni? Finito questo periodo, cosa poteva fare un ragazzo con quei cinque anni di adolescenza perduta, se non recuperare avidamente tutto quello che non aveva conosciuto prima? Se eri come me, volevi conoscere tutto quello che ti eri perso. Intanto, avevi comperato una macchina fotografica da quattro soldi, uscivi e fuori c’era la gente che come te non aveva più paura, e cercava altra gente, e la frequentavi, la vedevi e la documentavi, perché era una cosa nuova, appassionante”.
Con la fotografia, dopo quella terribile guerra, Nino Migliori trovò la libertà. Di non avere paura. Di conoscere. La sua fotografia degli anni ’50 è neorealista: la gente del sud, la gente della sua Emilia.
Con la mostra di Nino Migliori a Palazzo Fava noi conosciamo la libertà della fotografia, libertà di partire dal neorealismo, che il linguaggio fotografico porta in sè (fermare l’immagine, fermare il momento….), e da lì viaggiare verso mille sperimentazioni, mille percorsi di conoscenza. La libertà di esplorare mondi lontani dentro un barattolo di vetro. Trasfigurare.
Se non ci fosse la fotografia sarei molto più triste. E meno libera.

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