giornalismo

“Fotografo donne che fanno la guerra, ma anche l’amore”


Francesca ha due chiodi fissi: le donne e la guerra. O meglio, le donne che fanno la guerra. Ha 29 anni e gira con una macchina fotografica. Gira il mondo. Il suo primo lavoro, nel 2011, fu sugli sbarchi dei migranti a Lampedusa. Da lì ha preso la strada per terre molto lontane, dall’India al Libano. Da qualche settimana è di ritorno dal Congo: vi ha trascorso quattro mesi. Da sola. Quando è arrivata là, a chi le chiedeva per fare cosa, diceva che cercava le donne che militano nelle truppe ribelli. «Mi ridevano in faccia racconta ora -. Poi, quando sono tornata con le foto, persino un gruppo di persone che là lavorano per l’Onu m’ha fatto i complimenti: non sapevano neanche che esistessero».
Francesca Tosarelli, bolognese, è una fotografa. «Non seguo le news, però. Quel tipo di fotografia non fa per me: è azione, è testosterone. Io seguo una storia e per fare questo devi entrare in contatto con le persone, ci deve essere un processo lungo, un rapporto di scambio». Così è stato quando si è messa sulle tracce delle donne del M23 e del Mai mai shetani, due gruppi ribelli del Kivu Congo. «Quando ero in Libano, al confine con la Siria – racconta con il piglio di un consumato fotoreporter di guerra – sono venuta a sapere di un battaglione di sole donne in Siria, ma allora non avevo né le possibilità, né le capacità, tanto meno l’esperienza, per entrare in quel paese e andare a cercarle».
Quella storia, però, le è rimasta in testa. «Ho cominciato a studiare sui testi di antropologia il ruolo delle donne nelle guerre contemporanee africane, fino alle combattenti – racconta -. Mi interessava rompere lo schema delle donne esclusivamente relegate al ruolo di vittime dei conflitti. Non è una negazione, da parte mia, del fatto che la popolazione femminile è quella che patisce di più nelle guerre. Io, però, ho cercato un’altra strada, quella delle donne che imbracciano le armi».
Tina Brown, grandissima firma del giornalismo americano e direttore di Newsweek, disse una volta che «gli uomini vogliono sapere che cosa succede e le donne sapere che cosa succede realmente. Sono, insomma, più interessate all’aspetto emozionale, a ciò che accade dietro le quinte». «Da parte mia – continua lei – m’interessa, con la mia ricerca fotografica, il rapporto tra il femminile e il mascolino». Il risultato sono immagini di straordinaria bellezza, con un’attenzione alle piccole cose che accende la narrazione di una storia più complessa, contradditoria. «Tutte quelle che ho incontrato non sono donne che hanno buttato via la loro femminilità: sono sposate, ballano, si truccano. E allo stesso tempo sono guerrigliere, donne che uccidono, ma che a loro volta sono state spesso stuprate. E che sanno che una volta che finirà la guerriglia, saranno comunque fuori da una “vita normale”. Nessuno, per esempio, le vorrà sposare».
Francesca ha pubblicato servizi su molti giornali e riviste internazionali. Questo lavoro sul Congo sarà in autunno su un inserto del Sunday Times. «Ma è solo il primo capitolo di questa mia ricerca – conclude -, che vorrei continuare lavorando
accanto a un antropologo, a un sociologo ». Per capire cosa c’è dietro, oltre la notizia.

di Francesca Parisini
da La Repubblica Bologna – 21 luglio 2013

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